Il racconto di Segni del Tempo

A cura di Mariantonietta Fragnelli e Sara Salamina

Da pochi giorni è giunto a termine l’evento nazionale del settore giovani “SEGNI DEL TEMPO” tenutosi a Roma dal 28 al 30 ottobre. Durante queste giornate le vite, i volti e le storie di circa 2000 giovani provenienti da tutt’Italia si sono intrecciate al fine di compiere un cammino di fede e crescita spirituale.

Abbiamo avuto l’opportunità di sperimentare il valore della corresponsabilità e della condivisione. Ognuno di noi ha messo in gioco se stesso creando un dialogo costruttivo e ricco con ed attraverso l’altro seguendo l’ottica della complicità e collaborazione e dandoci l’opportunità di riflettere sulla nostra interiorità. Abbiamo riflettuto sull’importanza della sinodalità che, se gestita come un’azione di comunità, genera coesione sociale materializzandosi in occasioni di condivisione e confronto. All’interno della solidarietà, il pensiero e lo sguardo di ciascuno si fanno dono per tutti. È emerso il valore dell’affrontare processi riflessivi e progettuali che sappiano guardare ai limiti e alle risorse, ai rischi e alle opportunità, alle mancanze e alle potenzialità delle comunità stesse. Per una chiesa migliore è necessario un percorso di discernimento collettivo e sinodale, nella forma dell’ascolto reciproco e della ricerca condivisa finalmente riscoperta attraverso un contatto diretto con l’altro non più virtuale e distanziato. Tre giorni di riscoperta della bellezza delle relazioni rendendoci terreno fertile per un nuovo futuro da coltivare co-costruendo un mondo migliore che vada oltre l’individualismo odierno.

Un momento cruciale di questi tre giorni è stato l’incontro con il nostro Papa Francesco il quale ci ha ricordato: “siate giovani credenti e responsabili credibili, fate attenzione a non perdere il sapore, non diventare giovani tiepidi, cristiani annoiati”.

A seguito dell’udienza con il pontefice siamo stati divisi in gruppi ed abbiamo partecipato a convegni guidati da esperti e figure del settore incentrati su temi diversi quali: scuola, università, lavoro, tempo libero, sport, cultura pop, patrimonio culturale, crocevia di popoli, ambiente, legalità ed impegno civile. Questi incontri hanno contribuito allo sviluppo di uno sguardo attento sui luoghi che viviamo nella nostra quotidianità, immergendoci così nel vivo delle diverse realtà da noi speso ritenute “scontate”.

Noi giovani durante questa esperienza abbiamo potuto sperimentare il “vivere la fede in comunità”, una collettività autentica che potremmo definire come “prossima” poiché riconosce le diversità ma che, attraverso esse, giunge verso la strada dell’incontro in modo che si possa risvegliare in noi il desiderio di ricerca verso il bene comune. Ciò è possibile solo attraverso la responsabilizzazione delle nostre azioni.

La chiesa non va ripartita ma ripensata e rigenerata.

La fede è ossigeno per le relazioni umane ed è il nodo che stringe i credenti tra di loro, i cui diversi membri sono portati a riconoscersi come un unico corpo.

Studenti pronti a tutto…ma proprio a tutto!

A cura di Elio Simone La Gioia – Segretario MSAC

“Il mondo tutto, e maggiormente i giovani, hanno bisogno di profeti che assumano con forza e passione la strada della libertà e della speranza, percorrano la via della bellezza e della bontà, senza paure e fino in fondo, fedeli alla terra e al cielo, pellegrini dell’assoluto, con una sete indomabile di conoscere, capire e studiare i problemi degli altri, le ragioni dei conflitti, le cause dell’ingiustizia, le vertigini estatiche della bellezza e della bontà, i misteri del dolore e dell’amore, il desiderio di continuare a cercare per trovare, e trovare per continuare a cercare ancora.” (P. GRECO, B. SPERANDINI, G. SURACE, Giovani, fede e vocazione, cit., pp. 37-38.)

Forza, passione e speranza. Penso che non ci siano parole più adeguate per descrivere il campo nazionale che abbiamo vissuto qualche giorno fa a Molfetta assieme ai fratelli e alle sorelle del Settore Giovani.

Per essere studentesse e studenti pronti a tutto ci vuole una forza di fondo che dobbiamo ricercare nell’essere associazione. È emerso più volte nei gruppi di confronto di questi giorni quanto sia importante lavorare insieme: insieme ai nostri compagni sui banchi di scuola, insieme ai vicepresidenti del settore giovani e soprattutto ai membri delle nostre equipe diocesane. La forza e la solidità di un circolo MSAC si vede non tanto dalla quantità di eventi che riesce a realizzare, da quanti rappresentanti riesce a candidare nelle scuole, ma nel bene che si instaura tra gli studenti che di quel circolo fanno parte.

“Vivete la vita che state vivendo con una forte passione!” È questo il consiglio forte e affettuoso che ci arriva dalle solide e delicate parole di don Tonino Bello. Il sogno di don Tonino era quello di giovani con il fuoco dentro, capaci di amare e spendersi per gli altri, di incontrare la gente senza timori e chiusure. Questo atteggiamento di umile apertura è tra le cose fondamentali che il MSAC deve acquisire proprio come stile, un circolo capace di fare rete con altre associazioni studentesche, realtà territoriali e tutti coloro che lavorano per il bene comune.

Non dobbiamo come Azione Cattolica e come MSAC in particolare chiuderci in noi stessi, arroccarci su pareti autoreferenzialità, anzi, dobbiamo essere ancora più impegnati in un ascolto sincero dei bisogni delle nostre scuole. Partendo da questi bisogni, nei giorni del campo ci siamo concentrati sulla stesura di buone pratiche per vivere insieme la nostra responsabilità, per accompagnare i segretari che studiano all’università o lavorano e per lavorare al meglio con le nostre equipe diocesane. Abbiamo accolto l’invito di don Tonino ad essere cristiani autentici sovversivi, il cristiano autentico è sempre un sovversivo; uno che va contro corrente non per posa ma perché sa che il Vangelo non è omologabile alla mentalità corrente.

L’ultima parola per descrivere questa esperienza è sicuramente speranza. La speranza è una virtù rischiosa, una virtù, come dice san Paolo, di un’ardente aspettativa verso la rivelazione del Figlio di Dio (Rm 8,19). Non è un’illusione (Omelia di Santa Marta, 29 ottobre 2013). Ci siamo lasciati al termine del campo con una solida certezza: non è più il tempo di parlare di ripartenza, è tempo di ripartire concretamente guardando al futuro con speranza.

Se la nostra speranza non si traduce in scelte e gesti concreti di attenzione, giustizia, solidarietà, cura della casa comune rischiamo di essere studenti pronti a tutto, ma solo a parole. Specialmente a noi giovanissimi tocca organizzare la speranza, tradurla in vita concreta ogni giorno, nei rapporti umani, nell’impegno sociale e politico. Sta a noi superare la chiusura, la rigidità interiore, la tentazione di coloro che vogliono una Chiesa rigida, sta a noi superare la tentazione di occuparci solo dei nostri problemi e di ignorare quelli dei tanti studenti che vivono al di fuori dei nostri gruppi.

Viandanti sulle strade del nostro tempo

A cura dei partecipanti della nostra diocesi

“La nostra attività conosce uno “ieri” e un “oggi”, nel quale prendiamo le decisioni relative al “domani”. La situazione non rimane solo un elemento esterno per la nostra attività ecclesiale, ma confluisce in essa, contribuisce a determinarne la prassi, così come a sua volta la nostra prassi contribuisce a plasmare la situazione, mantenendola o modificandola.” (P.M. ZULEHNER, Teologia Pastorale, 1. Pastorale fondamentale. La Chiesa fra compito e attesa, Queriniana, Brescia 1992, p 25.)

Siamo chiamati a scelte importanti, scelte alte, scelte che plasmano; oggi all’Azione Cattolica è chiesto proprio questo e come giovani ci è chiesto di essere vento nuovo per l’associazione e per la chiesa.

Se volessimo riassumere il campo che abbiamo vissuto a Molfetta dal 29 Luglio al 1 Agosto, non ci sarebbe parola migliore di scelta. Oltre 150 partecipanti hanno scelto di ritagliarsi un tempo disteso per riflettere su come essere Giovani Wannabe: sulle strade del nostro tempo. Ciò che è emerso da questa esperienza è che vogliamo essere giovani che vivono una responsabilità giovane.

Abbiamo fatto tesoro del confronto vissuto durante il modulo formativo di Montesilvano e ci siamo nuovamente rimessi in discussione attraverso il confronto con ospiti, l’intenso lavoro nei gruppi sinodali e una riflessione personale. Dopo questa esperienza siamo sempre più convinti che lo stile che la nostra AC debba seguire sia quello suggerito dal sinodo, anche il metodo di lavoro da utilizzare è una scelta.

Nei gruppi abbiamo provato a far emergere i bisogni che i giovanissimi e giovani che abitano le nostre associazioni hanno, perché solo partendo da bisogni concreti potremo mettere in cantiere idee, progetti e proposte che rispondano effettivamente a questi bisogni. Come settore dobbiamo accogliere la sfida di accompagnare i nostri soci verso l’adultità, essere ascoltatori attenti delle esigenze dei giovanissimi, trovare modi e tempi per far sentire anche chi studia o lavora fuori dalla propria diocesi a casa.

Sono sfide grandi lo sappiamo, ma è proprio l’essere uniti come un’unica associazione la strada per poter rendere realtà tutto questo. Il presidente nazionale, nell’intervento conclusivo, ci ha ricordato quanto sia importante oggi per l’Azione Cattolica mettere insieme, abbiamo il compito e la responsabilità di creare legami all’interno dell’associazione e delle nostre realtà locali.

Torniamo a casa, nelle nostre associazioni diocesane, con il forte desiderio di essere giovani senza mezze misure, giovani che sono affamati di una chiesa bella, vicina e profetica. Proprio su questo abbiamo pregato sulle orme di un gigante della santità: don Tonino Bello.

“Vivete la vita che state vivendo con una forte passione. Non recintatevi dentro di voi circoscrivendo la vostra vita in piccoli ambiti egoistici, invidiosi, incapaci di aprirsi agli altri. Coltivate le amicizie, incontrate la gente. Voi crescete quanto più numerosi sono gli incontri con la gente, quante più sono le persone a cui stringete la mano.” (A. BELLO, Senza misura, La Meridiana, Molfetta 1993.)

Nessuno si salva da solo, ma attraverso la cultura della cura

A cura di Guglielmo Labalestra – Vicepresidente Giovani

Nessuno si salva da solo, ma attraverso la cultura della cura, ma cosa vuol dire effettivamente?

Come giovani di Azione Cattolica abbiamo provato a rispondere a questa domanda, facendoci aiutare da chi, come noi, ha deciso di prendersi cura del territorio che vive ogni giorno.

Il 28 febbraio scorso insieme a: Rosella Tegas, consigliera diocesana e consulente aziendale, Giuseppe Omma, un giovane artigiano, che ha deciso di credere nel suo territorio e prendersene cura, ed infine Francesca Viggiano, Assessore ai Lavori Pubblici della città di Taranto, ci siamo ritrovati per confrontarci circa lo spendersi per il proprio territorio.

Pur nella chiara consapevolezza della difficoltà del momento attuale, non vogliamo lasciarci trasportare da questa negatività verso la deriva, ma, anzi, è questo il momento ideale per rialzarci e per provare a credere che insieme si possano affrontare le difficoltà e costruire pian piano il presente. Presente che ci vede abitanti di una città che per anni è stata identificata nella monocultura dell’acciaio; eppure, recentemente c’è stata una scossa in positivo: una voglia di cambiamento. Abbiamo capito che si può vivere anche diversamente, cercando di prenderci cura del territorio e utilizzando le varie risorse presenti su di esso.

Per questo evento abbiamo scelto Giuseppe, proprietario di una bottega che produce ceramiche, in quanto emblema di questo cambiamento di rotta. Ci invita ad avere coraggio, coraggio di investire nel proprio territorio e avere fiducia, nel Signore e nelle istituzioni, che si rendono disponibili verso tutti coloro che hanno voglia di investire nel territorio.

Proprio per capire il pensiero delle istituzioni era presente l’assessore Francesca Viggiano, che ci ha ricordato come sia fondamentale prendersi cura del territorio partendo da noi stessi, e non pensando sempre agli altri. Il primo esempio di impegno possiamo proprio essere noi, e non dobbiamo scoraggiarci ed avere paura di essere soli inizialmente. Il cambiamento non è mai semplice, porta, specialmente all’inizio, molte difficoltà e solitudine; eppure, non dobbiamo fermarci alle prime difficoltà ma creare relazioni di pace che ci aiutino a sentirci meno soli e più forti. In questo, forte è l’esempio di “Mimmetto“, un giovanissimo abitante della città vecchia di Taranto, che non si è mai scoraggiato. Inoltre l’assessore ha sottolineato la disponibilità delle istituzioni nell’affiancare i cittadini nei loro progetti di cura e riqualificazione del territorio.

Ed infine grazie all’intervento di Rosella Tegas, che ci ricorda che non dobbiamo mai dimenticare di credere nelle nostre capacità, quelle che Dio ha messo in ognuno di noi, abbiamo compreso che come giovani di AC è necessario educarci ogni giorno alla relazione con noi stessi e con gli altri. Essenziale per noi è vivere la comunità come opportunità di crescita.

Il nostro augurio è che ogni laico possa sentire il desiderio e la voglia di appartenere alla diocesi e alla parrocchia con consapevolezza e responsabilità, affinché l’impegno di ognuno si incarni lungo le strade dei quartieri, delle città, per arrivare ad ogni angolo del mondo.

Chi è il giovane di AC?

Brevissime riflessioni sul Settore Giovani di Azione Cattolica e sul suo posto nella Chiesa e nella società

A cura di Alessandro Greco – Consigliere Diocesano per il settore giovani

Chi è il giovane di AC? Da cosa lo si riconosce? Cos’ha di diverso dagli altri giovani cristiani e, in definitiva, dagli altri giovani?

In un’epoca caratterizzata da una comunicazione rapida e scarna e da un perenne bisogno di etichette, queste domande identitarie si ripropongono con frequenza. La risposta, molto semplicemente, è che non c’è alcuna differenza. Nessun segno di riconoscimento, nessun distintivo, in ultima analisi neanche uno specifico programma da portare avanti.

E allora chi è il giovane di Azione Cattolica?

Il giovane di AC (ci insegna la Chiesa attraverso i suoi documenti) è solo e semplicemente un giovane come gli altri, un battezzato che sceglie di mettersi al servizio dell’intera comunità insieme ad altri battezzati. «Leggendo il Progetto – scrive l’AC nel suo Progetto Formativo nazionale – qualcuno potrebbe obiettare che molte delle cose che vi sono proposte appartengono a tutti i cristiani. Si tratta di una scelta, conseguenza dell’anima ecclesiale dell’AC […]» (Perché sia formato Cristo in voi, Ave, Roma 2020, p. 14). L’Azione Cattolica, infatti, sceglie di non avere una finalità propria, e così tutti i suoi membri: «Fine immediato di tali organizzazioni è il fine apostolico della Chiesa, cioè l’evangelizzazione e la santificazione degli uomini e la formazione cristiana della loro coscienza, in modo che riescano ad impregnare dello spirito evangelico le varie comunità e i vari ambienti» (Concilio Vaticano II, Apostolicam Actuositatem 20).

Il ruolo del Settore Giovani può essere inteso come forza propulsiva dell’intera associazione. Per la sua natura transitoria, infatti, l’età giovanile è un crocevia delle più diverse esperienze e dei più diversi interrogativi: esperienze di studio, di lavoro, di impegno nella società in varie forme (spesso incerte e contraddittorie), necessità di tradurre alcuni impulsi istintivi in scelte di vita ponderate. E, non ultimo ma alla base e al fondo di tutto questo, consolidare la scelta di compiere un cammino di fede.

Questo bagaglio di esperienze e di situazioni tipiche dell’età giovanile (e forse non è un caso che l’Azione Cattolica sia nata proprio dall’idea di due giovani) costituisce una ricchezza e in un certo senso un perno per tutta l’azione, soprattutto formativa, dell’associazione. D’altro canto, l’essere inseriti in un’associazione che fa dell’interazione fra generazioni uno dei propri aspetti caratteristici garantisce che questo impegno apostolico dei più giovani cammini su gambe solide e non rischi di risultare effimero, come spesso accade ai migliori impulsi giovanili.

Il Settore Giovani di Azione Cattolica è anche, però, uno strumento fragile. Nell’incredibile varietà di proposte formative e di impegno, infatti, si può essere facilmente tentati dal cercare un proprio specifico, un’identità ben delimitata, accattivante e facilmente presentabile al mondo. Essere giovane di AC, invece, è un’esperienza che non si lascia racchiudere in formule preconfezionate: è presenza discreta, messa al servizio dell’intera comunità, sia ecclesiale che civile; è occasione di crescita; è, prima e dopo tutto, una palestra di vita.

Lo sguardo dei giovani

A cura di Alessia Colucci – Consigliere diocesano

Pandemia, lockdown, Covid-19, queste sono solo alcune delle parole che, ammettiamolo, hanno segnato in maniera totalizzante ogni aspetto della nostra vita da marzo 2020 fino ancora ad oggi. In questo tempo e in questa prospettiva, inevitabilmente, è stato segnato il nostro cammino come giovani di Azione Cattolica, un po’ perché non potevamo certo esimerci dal rispetto delle regole imposte dal Governo, su richiesta della comunità medica e scientifica, in quanto segno di quella responsabilità civile a cui tanto aneliamo come associazione e come singoli, ma soprattutto perché, il cammino di un giovane in AC coincide con la sua vita nella società. 

È così che si sono affacciati i primi sentimenti di solitudine, tristezza, sconforto, che hanno accompagnato la quotidianità di, forse, ogni ragazzo, più in generale di ogni essere umano, che si sia improvvisamente trovato a mettere in pausa ogni aspetto sociale della propria vita. Scuola, università, lavoro, parenti, amici, incontri, convegni, feste, ogni cosa è stata sospesa, per più o meno tempo, o rivoluzionata nel suo funzionamento, comportando un ovvio spaesamento di ciascuno di noi. 

È proprio in questo momento che all’interno delle nostre teste inizia a rimbombare la necessità di sentirci più vicini, anche se a distanza, e di poter continuare a sostenerci, affiancandoci l’uno al cammino dell’altro. E come farlo? 

Come équipe giovani, abbiamo pensato che sfruttare i social fosse un modo semplice ed efficace per provare ad arrivare a tutti. Crediamo fortemente nella potenza della comunicazione, e nell’idea che, se usati nel modo corretto, i social e le tecnologie possano essere una risorsa fondamentale, soprattutto in tempi in cui la vicinanza fisica potrebbe essere più un rischio che un aiuto. 

Abbiamo sentito l’esigenza di continuare a tenere i contatti con chi nelle parrocchie cerca di prendersi cura dei ragazzi della nostra diocesi, provando ad incontrarci online, a chiacchierare, ma anche a chiederci di cosa, in questi mesi, sentiamo necessità. 

Nell’ottica del riscoprire la bellezza, anche in momenti in cui questa ci sembra poco visibile, abbiamo scelto di “adorare il lunedì”, di guardarci intorno e di saper riscoprire che, proprio nel giorno che un po’ tutti detestano, possiamo ripartire nel segno della bellezza, ricaricati dall’ascolto della Parola della domenica e dalla promessa di viverla nella vita di ogni giorno. Rifacendoci all’iniziativa nazionale, ogni lunedì chiediamo a dei ragazzi delle nostre parrocchie di raccontarci, con immagini, video o frasi, il loro personale “adoro il lunedì “, pubblicando poi il tutto sui nostri canali social, affinché lo sguardo gioioso di uno possa contagiare quello di tanti. 

Abbiamo, inoltre, dato avvio ad un’iniziativa social chiamata “ti devo dire un fatto”, con la quale ogni mercoledì sui nostri social proviamo a dare degli spunti di riflessione su alcuni temi che sentiamo, in un momento così delicato, importanti da affrontare (ad esempio abbiamo affrontato il tema dell’immobilismo nel tempo attuale, della relazione con Dio, della solitudine e della relazione con sé stessi). Così per non perdere l’allenamento, anche in un tempo in cui tutto ci sembra fermo, cerchiamo di interrogarci e di chiederci cosa non va, cosa possiamo fare come giovani e come possiamo migliorarci. 

Tutto questo perché non possiamo e non dobbiamo mai perdere i contatti con ciò che accade nel mondo e, anche nella difficoltà, saper essere fermento vivo di una società che non può “arrendersi” alla prospettiva di una vita in stand-by. Per questo vogliamo impegnarci personalmente, per quello che ci è possibile, a sentirci sale della Terra e a fare in modo che anche la più piccola porzione di storia che tocchiamo possa prendere sapore dal nostro entusiasmo e dalla nostra freschezza. 

È ovvio che speriamo di poterci riabbracciare tutti il prima possibile, ma nell’attesa di poter di nuovo stringerci la mano, sorridere a viso scoperto e fonderci in un grande abbraccio, vogliamo augurarci di saper vivere ogni momento che ci viene affidato da Dio con sguardo critico, interrogatorio, ma soprattutto tenero e aperto a tutti.